martedì 2 agosto 2011

Fiato sospeso sopra Oslo

Giro annoiata le pagine di Cosmopolitan quando alla radio sento che una bomba è esplosa nel centro politico di Oslo. Rimango immobile, per non creare rumore che possa in qualche modo disturbare l'ascolto. E' una fredda giornata di Luglio, non ricordo luglio così freschi e piacevoli. La radio continua dando le prime informazioni: 4, 5, 6 no sono 7 i morti. Gente ferita, anche gravemente che urla, corre, impastati di polvere e sangue.

Ammetto che penso anche io all'Islam. Penso che quest'anno sono 10 anni esatti. penso che potrebbe esserci una catena di eventi simili in ogni capitale del mondo, per concludere l'11 settembre proprio lì, dove tutto era iniziato. A New York.

Trattengo un attimo il fiato. Mi rendo conto che sono troppo sensibile a questi avvenimenti, e penso a quanto la gente ne sia invece generalmente indifferente, sfiorandoli appena.

La notizia termina e la radio ci delizia con "I Just Don't Know What To Do With Myself" dei The White Stripes e la sento urlare, fino a darmi fastidio. Spengo la radio.

Qualche ora più tardi guido distratta verso il supermercato. Ancora non trova fine il pensiero fisso di gente straziata e incredula, che non comprende e che corre senza voltarsi. Quando dalla radio arriva un aggiornamento, un poliziotto. Un uomo vestito da poliziotto. Spara. Mitra. 15-18 anni. Scappare. Nuotare. 700 mt. 

Fingono morti.

Alcuni si fingono morti.

Alcuni si fingono morti tra gli altri cadaveri.

Alcuni si fingono morti tra gli altri cadaveri per sfuggire alla follia omicidia.

Un Norvegese. Arreso poco dopo. Cioè: DOPO, in quanto ha avuto 1 ora e 30 minuti per dilaniare una giovane costola norvegese. Per ideologie anche peggiori del nazzismo, dell'islamismo estremo. Odio di razza, di sesso, di ideologie tutte.

Mi ritrovo ferma nel parcheggio del Carrefour, con lo sguardo nel vuoto. 76-93-87 morti, un dato che fa la differenza. La gola mi si stringe, penso a mia madre. Al messaggio che le avrei scritto se fossi stata anche io... un finto cadavere.

Prendo il cellulare e non riesco a non piangere all'idea di dover dire addio a mia madre. Ho il cuore che esagera, che pompa sangue fino alle tempie e lacrime che offuscano ogni particolare dentro e fuori di me. Apro la busta con il mio cellulare touch screen, nuovo messaggio a "mamma".

"Ti voglio bene", lo scrivo 87 volte, per tutti quelli che non sono riusciti a farlo. E lei dà l'unica risposta che noi tutti avremmo voluto ricevere: 

"Lo so, tesoro mio."

Un minuto per Oslo.